8/05/2016

Pappagalli e Bestemmie - Argentina Calling




SWITCH ON

23 – 07 – 2016 (siccome i primi giorni sono successe tante cose e più avanti ne accadranno poche mi soffermo di più sulla prima settimana)

Villa Eloisa, Santa Fe, Argentina

La prima a sinistra poi la seconda a destra, passi un ponte e neanche il tempo di battere le palpebre che le case sono scomparse.
 Poco male, alla terza volta uno si abitua. Stiamo andando al campo di Oracio Rossetti, un amico del papà. To’ guarda, un cognome italiano! Poi ti giri e vedi l’industria agricola “Bossi”, il ferramenta “Temperini” e due domande te le fai. Resta di stucco è un barbatrucco si scopre che il 70% degli Argentini ha parentele o discendenze con italiani immigrati in massa negli anni ’20 e ‘30 (quindi tutta la pippa sulla cultura diversa, la ricerca dell’opposto, *azzi, mazzi e palazzi era una scusa, volevo solo la carne in realtà). Perciò è capace che ti trovi Santiago Juan Esteban Ignacio Vanvitelli, che fa un po’ strano a sentirsi. Ciò fa si, inoltre, che metà delle mie conversazioni all’inizio siano state tipo

“Ciao, sono Miguel (mi sono ribattezzato così perché se no la gente mi chiama “Micele” o peggio ancora “Michelle” alla francese) molto piacere di conoscerla!”

“Tu sei quello italiano! Ah sai io avevo parenti in Italia! Erano di *nome incomprensibile con pronuncia locale*, sai no dov’è?”

“Si si, certo” (ma che diavolo...) “BUONO SCIORRRNO! Si dice così no?” “Impeccabile...!”

...


Arrivati, io e i fratelli, diamo due calci al pallone mentre Roberto e Oracio chiacchierano e, a un certo punto, un tiro troppo forte finisce nel campo facendo alzare uno stormo enorme di simpaticissimi pappagallini verdi! Accompagnati però da una sfilza di improperi che, seppure il mio spagnolo sia alquanto approssimativo, sono stati perfettamente intesi. Questi carinissimi animaletti sono una piaga ormai da queste parti, specie tipica brasiliana, è stata importata come animale di compagnia e poi abbandonati dai soliti più furbi degli altri e non trovando predatori naturali si sono accoppiati come conigli cominciando a mangiare qualunque cosa.

Attaccato (e anche di più) bottone con questo particolare approccio, i padroni di casa mi invitano a condividere un buon mate caldo. Vista la mia curiosità per l’ambiente nuovo, Oracio mi chiama e inizia così il tour guidato in fattoria, che risveglia il cinese che è in me. Mucche qui, mucche li ecc ecc questo l’ho già detto. E poi capre, conigli, cavalli, gatti, cani, pecore, polli di ogni genere e specie. Quest’uomo mi mostra questo mondo per me in gran parte sconosciuto con una fierezza simile a quella che può avere un padre per il suo bambino che ha appena vinto la gara di corsa della scuola. “fai una foto qui, fai una foto lì” mi fa vedere tutti i piccoli e grandi lavori di una fattoria.



Nel recinto del toro...


“Ho visto video dell’Europa – mi fa mentre diamo da mangiare alle mucche – li sono molto avanti, c’è chi mette le balle di fieno nel Nylon per ripararlo. Molti macchinari qui arrivano molto dopo”

Lo dice con una punta quasi di tristezz
a ma comunque con l’orgoglio di chi, nonostante non sia una regione per l’allevamento, nonostante molti lavori qui ancora si facciano a mano, nonostante molte cose svolge il suo lavoro con dedizione, solerzia e costanza.

“La regione migliore per la carne è Buenos Aires, quì si coltiva, però volevo provare e ho messo su un allevamento di 200 animali” Così per vedere come ci si sente “ Ne macello 3 o 4 l’anno giusto per il consumo personale, le altre le vendo. 

[NB da una mucca possono uscire 300 Kg di carne]

Signori e signore e ecco a voi Irene


Finito il tour è ora di andare a casa e dopo saluti, baci e mucche che mi fissano con la bava alla bocca (una volta che gli dai un po’ di mais non si scollano più eh) saltiamo in macchina. Arrivati mi viene offerto un altro mate, che però rifiuto temendo altre traveggole. In compenso abbiamo scoperto che la mia valigia è finalmente arrivata (YEEEEEE) però hanno ciccato di 50 km(ah). Cioè siccome qui siamo un po’ sperduti hanno lasciato i bagagli nel paesino qui di fianco. Aspettiamo che i negozi aprano (qui prima delle 5 di pomeriggio sognati di comprare anche solo dei fiammiferi) per 2 commissioni e poi si parte alla volta Cañada de Gómez a casa di una volontaria WEP. Appena rivedo la mia bitorzoluta amica avvolta nel nyoln verde fluo mi risuona nella testa la colonna sonora di momenti di gloria.

Ritornando godiamo di un incredibile tramonto in mezzo ai campi. E mente viaggi, vedendo l’immensità di un paese che non sa che farsene dello spazio, tu che eri sempre abituato a startene gomito gomito con qualcuno a scuola, in casa, sul bus o per strada, ti senti così piccolo e insignificante da essere indistinguibile dal paesaggio, trasparente.

Assorto quasi non mi accorgo che siamo arrivati in paese, sfido io, al buio ce ne vuole, e andiamo dal tabaccaio­giornalaio­negozio di scarpe e vestiti­cartolaio­centro telefonia del paese per fare la sim. Una specie di Bazar compresso in 20 metri quadri. Essendo io minorenne il signor Vendicose in questione la intitola a Juan Peréz (come dire Mario Rossi). Tariffe manco a parlarne, come minimo due anni, solo che qui con 5 pesos (30 centesimi) stai connesso illimitatamente un giorno intero su internet e non so quanto poco costasse un minuto di chiamata.

A casa mi vado a buttare finalmente sotto la doccia, la quale però ha i pomelli di caldo e freddo invertiti a tradimento. Mi perdonino dunque tutti quelli che si son sentiti tirare un accidente.

Camicia e deodorante (per le occasioni speciali) che si va a cena fuori. Gli orrori e le meraviglie che ho visto su quella tavola ve li racconto nella prossima puntata.



SWITCH OFF


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