7/08/2016

Tra realismo e idealismo - La mia conversazione con Michela Murgia

SWITCH ON

Ho partecipato di recente a un festival di letteratura organizzato da ragazzi e per ragazzi a Rimini chiamato Mare di Libri

Il bello di questo ambiente è la possibilità di incontrare, dialogare, discutere e confrontarsi con persone che stanno da entrambe le parti di un libro.
Tra gli ultimi eventi ho partecipato a un incontro in cui era presente Michela Murgia con cui ho avuto un interessantissimo dibattito sul confronto tra realismo e idealismo in fatti di molestie sessuali. Inutile dire quanto sia stato insoddisfacente un breve scambio di vedute e ho deciso dunque di scriverle una mail più completa e esaustiva che poi lei stessa mi ha consigliato di pubblicare assieme alla sua risposta. 

Vorrei ringraziarla molto personalmente per la sua disponibilità nei miei confronti e per l'esempio che da in molte situazioni e per la quantità di stimoli per la riflessione che mi ha saputo dare. 
Grazie



22 giugno 2016
Da: Michele Vico
A: Michela Murgia


Carissima Michela Murgia,

Sono Michele Vico, un ragazzo di Mare di Libri. Se si ricorda ero presente al suo incontro, per intenderci ero quello coi capelli lunghi con la madre che fa l’ingegnere… Mi ricordo che le avevo fatto una domanda di questo tipo:

“Fino a che punto una ragazza può sentirsi libera di vestirsi in modo seducente e girare in certe zone di una città col rischio di essere aggredita e quanto invece possiamo considerarla incosciente?”

Mi è piaciuta molto la sua risposta in cui (mi permetta questa sintesi aberrante)in primis mi correggeva l’uso della parola “provocante” in quanto non è la ragazza la causa che provoca l’aggressione e in secondo luogo esprimeva che una ragazza non deve uniformarsi e deve essere assolutamente libera di vestirsi come le piace e poter muoversi e vivere nelle zone che vuole all’ora che ritiene adeguata.

In più lei mi aveva rilanciato la palla chiedendomi come mai considerassi una minigonna o una maglietta scollata come simbolo di una maggiore disponibilità sessuale e io ho balbettato qualcosa come “non ne ho idea”.

In questi giorni però ammetto di averci rimuginato sopra alquanto e mi sono venute delle osservazioni che, sperando di non disturbare volevo esprimerle. Volevo però comunque precisare che non si tratta di una contestazione nei suoi confronti perché, come spero che lei ricordi le mie idee in merito sono piuttosto vicine alle sue, ma solo un confronto di idee che ho la fortuna di poter comunicare a un’esperta come lei.

Quello che mi pare di aver espresso male all’incontro è un duello che molto spesso mi si ripropone fra l’essere idealisti e essere realisti. Mi spiego meglio, è chiaro che non voglio giustificare un potenziale aggressore per neanche uno dei suoi atti orribili, tanto meno segregare in casa tutte le 17enni per evitar loro ogni pericolo perché equivarrebbe a dargliela vinta. Quello che però mi rigira in testa è che comunque va constatato che il rischio purtroppo c’è e non va sottovalutato. Purtroppo in certe zone a una cert’ora una ragazza non può circolare sola, e mi è capitato spesso di dover arrivare più tardi a casa per accompagnare qualche compagna fino al portone di casa perché non si sentiva sicura (per quanto io poi possa significare una sicurezza in questo genere di cose). Allo stesso modo però io non ritengo giusto che, siccome il problema sta da qualche altra parte, ne debba risentire la libertà di una ragazza/donna ponendosi problemi che un uomo invece il più delle volte non si pone. E qui che io mi trovo diviso tra i due modi di comportarsi. Il primo è agire come penso che le cose dovrebbero essere esponendomi o lasciando esporre i miei cari a un pericolo o altrimenti piegarmi alla realtà andando ad alimentare quel circolo vizioso che non porterà mai alla risoluzione del problema. Pensandoci sopra in questi giorni sono giunto a questa conclusione. Fino a che il problema c’è a denti stretti agirò di conseguenza, perciò legherò la bicicletta, accompagnerò la mia amica a casa e non andrò a gridare “forza Toro” in curva Juventus. Ma allo stesso modo mi impegnerò affinché questo problema sparisca, educandomi a valori di rispetto reciproco e di sportività, comportandomi e cercando di dare l’esempio anche solo ai miei cuginetti piccolini, facendo volontariato in zone di disagio minorile ecc ecc (cose che attualmente faccio).

Per quanto riguarda la seconda domanda anche ho avuto tempo per rifletterci e la risposta che mi sono dato e che, ci piaccia o meno come anche lei ci ha spiegato con quella serie di comportamenti che le hanno detto di adottare in campagna elettorale, noi non comunichiamo solo con quello che diciamo. Come le parole però anche i gesti e gli atteggiamenti hanno significati che non abbiamo deciso noi. Quando lei mi ha risposto l’ho guardata negli occhi anche se per me farlo mi costa molto perché mi mette parecchio in soggezione, l’ho fatto perché so che mettermi a fissarmi i piedi come avrei voluto le avrebbe comunicato menefreghismo anche se la stavo ascoltando con interesse. Personalmente questo codice comunicativo mi causa non pochi problemi. Allo stesso modo come ci vestiamo comunica qualcosa. E purtroppo una camicia scollata o una minigonna comunicano una maggiore disponibilità sessuale, perché la nostra è una società ancora, al contrario di molte parole versate da uomini importanti, ancora molto maschilista e basata su un’oggettivizzazione della donna. E qui mi si ripropone la contrapposizione tra idealismo e realismo di sopra. Trovo coraggiose e esemplari le ragazze e donne, così come anche ragazzi e uomini che sfidano questi linguaggi che certo sono necessari per comunicare tutti nello stesso modo ma non devono renderci schiavi. E se negli anni 70 (mi pare, come lei ci ha detto) non fossero andate in giro senza reggiseno, adesso avremmo una fetta di libertà in meno. Io stesso (come avrà notato) non sono un amante dei dress code tanto che prima mi vesto e poi apro gli occhi la mattina. Riassumendo a me una scollatura o una minigonna non comunicano un messaggio provocatorio o seducente perché ho imparato a bypassare una serie di costumi mentali tipici della mia società. Però è bene sapere cosa si comunica e perché anche solo per decidere di trasgredirlo.

Spero di non averla disturbata ne di averle impegnato troppo tempo con questo mail prolissa… La ringrazio infinitamente di avermi fatto pensare. Credo molto nel fatto che la cultura non serva per dare le risposte giuste ma saper porre i giusti interrogativi.

Grazie mille anche per la disponibilità e una sua risposta mi farebbe veramente molto piacere!

Michele Vico










25 giugno 2016
Da: Michela Murgia
A: Michele Vico


Caro Michele,

potrai crederci o meno, ma è la prima volta che a scrivermi dopo una conferenza simile è un ragazzo. È una bella novità, un buon segno, e per questo ti dico grazie. Ti ho letto con piacere e credo anche che le tue conclusioni siano in gran parte giuste: quel che occorre fare è proprio prendersi cura del presente, e nel frattempo cercare di creare le condizioni perché il futuro sia meglio.

Ma. Un “ma” c'è.

La prudenza non è un buon modo di curare il presente. Concordo che in alcuni casi sembri la soluzione migliore, quella che ti risparmia la morte o almeno le violenze o lo stupro, e tuttavia conferma l'idea che la morte, le violenze e lo stupro dipendano da qualcosa che fai tu, non da qualcosa che invece stai subendo. Crescere una bambina, e poi una ragazza, a colpi di “però stai attenta” significa sì creare le condizioni di minima sicurezza per la sua incolumità, ma significa anche confermarle che se succede qualcosa lei ha comunque un concorso di responsabilità. Non si è protetta abbastanza. Non ha fatto tutto il necessario per non scatenare la bestia che dorme in qualcuno. Le stiamo insegnando che almeno un poco è colpa sua. E se davvero aveva il vestito leggero, è molto colpa sua. Se fuori era buio e lei aveva bevuto una birra allora forse se la era proprio andata a cercare. In questo modo finisce che continuiamo a crescere donne che, anziché temere e combattere la cultura che le mette in pericolo, hanno paura soprattutto di se stesse. Con la scusa della prudenza, continuiamo a mantenere in piedi la stessa mentalità che vorremmo combattere, o alla quale vorremmo almeno sfuggire. Quello che vorrei spiegarti è che a essere pericoloso per le donne non è né il desiderio maschile, né il maschio: è il dislivello di potere che esiste tra maschi e femmine nella nostra società. Le molestie sessuali non sono mai espressione di desiderio, ma sempre atto di forza: “sono più potente, dunque agisco su di te a mio piacimento”. Gli uomini che uccidono le donne perché li stanno lasciando sono convinti di agire per amore, ma in realtà agiscono perché la relazione di potere è stata ribaltata e questo è insopportabile per chi il potere lo aveva e lo ha perso.

In un sistema così, forse non è la prudenza il modo migliore per prendersi cura del presente guasto. Forse il modo giusto è prendere insieme il coraggio di chiamare le cose col loro nome, perché siano finalmente riconosciute per quello che sono. Far vestire la ragazza per proteggerla non è prudenza: è connivenza con l'idea che il desiderio di un altro sia colpa sua. Non è un complimento gridarle “belle tette”, ma una molestia, perché sentire pareri non richiesti sul suo corpo non è un suo dovere sociale. La pacca che riceve sul culo in tram non è divertente e nemmeno lusinghiera, ma offensiva, perché il suo corpo non è pubblico demanio, anche se chi glielo ha violato probabilmente lo pensa. Se oggi queste cose non sono più considerate da molte donne come “ragazzate” sopra alle quali è meglio non fare troppe storie, il merito è di donne che a un certo punto hanno mandato al diavolo la prudenza e si sono esposte al rischio per pretendere il rispetto. Se Rosa Parks fosse stata prudente – e ti assicuro che di certo qualcosa lo ha rischiato sedendosi nel posto dei bianchi di quell'autobus in piena segregazione razziale – forse l'uguaglianza legale per i neri non sarebbe arrivata negli anni 60 e nemmeno negli anni 80. Forse, per quello che ne sappiamo noi, non sarebbe arrivata mai, perché alla fine nessun sistema di potere si mette in discussione da solo: solo chi lo subisce lo può discutere. Se non combatti, quel che ti opprime ti considererà complice, talvolta anche compiacente. E chissà quante volte glielo avrà detto la madre a Rosa Parks di stare attenta, di non provocare i bianchi, che non si sa mai cosa può succedere se tiri troppo la corda.

Le donne - non tutte, ma molte sì - si sono ribellate e continueranno a farlo. Ma forse è ora che a ribellarsi a quella idea di mondo siano anche i maschi. Non lo faranno tutti, certo, e nemmeno serve che iano tutti. Di sicuro non quelli che pensano che il problema non li riguardi, né quelli per cui la battaglia per la parità è finita e quindi basta rompere ancora i coglioni col femminismo. Nemmeno quelli per i quali comunque essere maschio in un mondo maschilista è dannatamente più comodo che non l'inverso, e allora chi glielo fa fare a cambiare le cose. Però qualche uomo che non rientra in questa categoria c'è e, per quanto ancora silenti, sono sempre di più. Sono uomini che hanno capito che la questione del sessismo è una battaglia per la giustizia, non per le donne. Così come non c'è bisogno di essere omosessuale per pensare che gli omosessuali debbano avere gli stessi diritti degli etero, così non c'è bisogno di essere donne per sentire sulla pelle che il tipo molto variegato di violenza che ancora si perpetra sulle donne in questa società offende alla radice il nostro essere umani e rende il mondo di tutti più difficile. Il lavoro grosso è tra i giovani uomini, quelli della tua età. Li avrai contati i maschi l'altro giorno in quella sala. Quanti eravate, Michele? Cinque su cento? Sette? Esagerando 10, non di più. Il giorno in cui riuscirò a dire le stesse cose che ho detto a voi davanti a una platea di maschi venuti lì volontariamente per loro interesse, io capirò che abbiamo vinto. Fino ad allora la strada è tutta in salita e dobbiamo conservare il fiato finché serve.

Ti abbraccio

Michela


Chiunque avesse opinioni o interveni in merito non esiti a farsi avanti, sono curioso di sentire altre campane!



SWITCH OFF


Check me also on






Nessun commento:

Posta un commento